Sappiamo innanzitutto che solo in Italia lo chiamiamo
smoking, facendo riferimento ad un vecchio uso inglese, quello di usare una
sorta di giacca da fumo per non far impregnare la giacca del frac dei profumati
effluvi di sigaro e di pipa prima di raggiungere le dame in salotto, dopo
essersi alzati da tavola; nel regno di Sua Maestà Britannica lo si chiama
"dinner jacket", oltreoceano "tuxedo" (dal nome di un
circolo nel quale fu introdotto da un certo Lorillard alla fine del secolo
XIX): potremo benissimo chiamarlo "abito da sera" contrapponendolo
all'"abito di gala" (la marsina) e agli abiti scuri "da
pomeriggio".
Non è molto diverso dagli abiti comuni, essendo composto da
una giacca (di solito nera o "midnight blue") con i revers di seta e
da un paio di pantaloni con un gallone sulla cucitura laterale esterna ai quali
si aggiunge un gilet (molto scollato) od una fascia (che si può chiamare anche
fusciacca o "cummerbund": la figlia in nero di quella che portava
Sandokan, per intenderci). Le scarpe a mio avviso più indicate sono le
francesine lisce o le pump da ballo.
Camicia candida (non sono ammessi "rouches" o
merletti, a dispetto del nome della pagina) con collo rivoltato (ovvero
normale), polsi doppi con gemelli e, ovviamente la cravatta a farfalla nera,
dalla quale tutto l'ensemble prende il nome, negli inviti (troveremo infatti la
dicitura "cravatta nera" se è richiesto questo vestito).
Lo smoking ha diversi gradi di formalità a seconda del
taglio e degli abbinamenti (doppiopetto o monopetto, gilet o cummerbund...) che
qui non affronteremo per brevità, ma due sono le regole fondamentali con le
quali concludo: è un abito da sera (mai di giorno, meno che mai di mattina) e
non è un abito da cerimonia (mai sposarsi in smoking, sarebbe un grave errore di stile).
Buon divertimento e...ricordate le calze di seta.
Tommaso Pandolfo Fanchin
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