15 agosto 2015

Smoking



Sappiamo innanzitutto che solo in Italia lo chiamiamo smoking, facendo riferimento ad un vecchio uso inglese, quello di usare una sorta di giacca da fumo per non far impregnare la giacca del frac dei profumati effluvi di sigaro e di pipa prima di raggiungere le dame in salotto, dopo essersi alzati da tavola; nel regno di Sua Maestà Britannica lo si chiama "dinner jacket", oltreoceano "tuxedo" (dal nome di un circolo nel quale fu introdotto da un certo Lorillard alla fine del secolo XIX): potremo benissimo chiamarlo "abito da sera" contrapponendolo all'"abito di gala" (la marsina) e agli abiti scuri "da pomeriggio".
Non è molto diverso dagli abiti comuni, essendo composto da una giacca (di solito nera o "midnight blue") con i revers di seta e da un paio di pantaloni con un gallone sulla cucitura laterale esterna ai quali si aggiunge un gilet (molto scollato) od una fascia (che si può chiamare anche fusciacca o "cummerbund": la figlia in nero di quella che portava Sandokan, per intenderci). Le scarpe a mio avviso più indicate sono le francesine lisce o le pump da ballo.
Camicia candida (non sono ammessi "rouches" o merletti, a dispetto del nome della pagina) con collo rivoltato (ovvero normale), polsi doppi con gemelli e, ovviamente la cravatta a farfalla nera, dalla quale tutto l'ensemble prende il nome, negli inviti (troveremo infatti la dicitura "cravatta nera" se è richiesto questo vestito).
Lo smoking ha diversi gradi di formalità a seconda del taglio e degli abbinamenti (doppiopetto o monopetto, gilet o cummerbund...) che qui non affronteremo per brevità, ma due sono le regole fondamentali con le quali concludo: è un abito da sera (mai di giorno, meno che mai di mattina) e non è un abito da cerimonia (mai sposarsi in smoking, sarebbe un grave errore di stile).
Buon divertimento e...ricordate le calze di seta.


Tommaso Pandolfo Fanchin

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